27 feb 2019

Cos’è il Digital Marketing?

 

È il processo legato al Marketing che utilizza il canale Web e i canali Social (Social Marketing) utile a sviluppare la rete commerciale di un’azienda, consente di analizzare l’orientamento di mercato e prevederne l’andamento, e permette di creare offerte ad hoc sul profilo del proprio Target di Cliente.

 

esportazioni italiane

Il paradosso italiano

Il Digital Marketing dovrebbe essere in ogni impresa la Strategia di Accelerazione del Business, soprattutto nel contesto italiano in cui l’80% delle imprese è a conduzione familiare.
Il tessuto industriale italiano naviga principalmente nell’area delle PMI. Le piccole e medie imprese italiane nel tempo hanno sviluppato il loro fatturato grazie ad azioni intraprese dalla metà del 1900, ovvero dalle prime generazioni di imprenditori del dopo guerra.
Questa lunga azione di innovazione, ingegno, perseveranza dei nostri nonni, che ha avuto il suo apice nel boom economico degli anni Sessanta, si sta esaurendo.
Da oltre vent’anni l’Italia perde terreno in ogni fronte economico. Siamo la sesta potenza mondiale ma sempre tra gli ultimi d’Europa per crescita, innovazione e mercato.
Stiamo tagliando il ramo di un albero vecchio stando seduti dalla parte sbagliata.

Qui inizia il paradosso. Disponiamo di una potenzialità elevata che ci porta, nonostante tutto, ad essere tra i primi Paesi al mondo nell’economica, nell’arte, nel turismo e nell’agroalimentare, il paradosso è che siamo una nazione che non dispone di materie prime e non ha riserve di capitali finanziari, ma che si permette, ogni anno, di perdere il suo capitale umano.

Nel 2017 sono stati oltre 28.000 i laureati a trasferirsi all’estero, il 4% in più rispetto al 2016. Una tendenza che presto, in un Paese con crescita demografica zero, ci retrocederà tra le nazioni vecchie, prive di capitale umano, con una manodopera di basso livello.
Un’emergenza sociale ed economica che pare non essere neppure presa in considerazione dalla classe politica italiana.
Crescita demografica zero vuol dire che entro vent’anni ci saranno più pensionati che lavoratori attivi. Il Saldo negativo dei laureati, ovvero numero di laureati che lascia l’Italia rispetto a quelli che arrivano dall’estero, ci porterà a perdere competitività in ogni campo economico.

Saremo “conquistati” dalle aziende estere, le quali utilizzeranno la nostra manodopera poco qualificata e occuperanno fette del mercato italiano, imponendo i loro prodotti e servizi.

L’esempio migliore per evidenziare il paradosso italiano nell’era del Digital è il Food & Beverage.

 

 

I dati tra nuove tecnologie, digital e l’agroalimentare italiano:

  • 89,9% della popolazione accede ad internet (79,9% col proprio Smartphone)
  • Fatturato e-commerce 2018: 35,1 miliardi di euro (+15% rispetto al 2017)
  • L’e-commerce del Food in Italia, nel 2018, rappresenta il 4% del totale del commercio online nazionale, un flusso di affari di 849 milioni di Euro in crescita del 43% rispetto all’anno precedenza.
  • Spesa Alimentare è di 215 miliardi di euro all’anno
  • In Italia le famiglie spendono circa di 440 euro al mese per il Cibo, 14,2% del loro budget familiare. Più di quanto si spenda in Usa (6,5%), Australia (10,2%), Germania (10,9%), Corea del Sud (12,2%), Francia (13,2%) e Giappone (13,8%).
Fonte Economic Research Service del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense .
Fonte eCommerce B2C Netcomm del Politecnico di Milano

 

I valori mostrano un incremento a due cifre del fatturato e della crescita del settore digital per il food italiano. Una crescita costante che non accorcia, però, il gap con gli altri Paesi europei.

L’Italia è definito un Mercato On Line Immaturo, in quanto le vendite online di beni, in rapporto ai 59 milioni di abitanti, ci collocano tra i mercati immaturi, come Polonia e Spagna, con strutture commerciali in rete decisamente sottosviluppate.

 

In tale ottica, il food italiano con un 4% di vendite on line rispetto al totale dell’e.commerce, si colloca in coda rispetto agli altri Paesi europei.

Siamo il Paese dell’eccellenze nel Food&Beverage in Europa, tra i primi nel mondo, ma quanto durerà questo primato se restiamo ultimi nel Digital Marketing?

Se consideriamo solo l’Europa, siamo il primo Paese per biodiversità e con il maggior numero di certificazioni: DOP, IGP e STG.

Nel 2017, sono 291 in totale le certificazioni ottenute dall’Italia, ben 54 in più rispetto ai cugini francesi. Segue poi la Spagna con 137 riconoscimenti (Fonte Istat).
La certificazione più alta per il livello di qualità richiesto è la DOP (denominazione di origine protetta). Anche qui siamo primi con 166 certificazioni nel 2016. Per ottenere questa certificazione è essenziale che l’intero processo produttivo si svolga, con determinati standard, nello stesso territorio.

 

Il Food eCommerce in Italia

 

Il numero di aziende italiane agro alimentari e più in generale del Food&Beverage è di oltre 61.000 unità. Siamo un Paese fortemente polverizzato in piccole e medie imprese, e il dato sopra indicato mostra che anche nel Food & Beverage la tendenza è confermata.
Avere così tante aziende di produzione nel settore è un vantaggio per la produzione di qualità, ma anche un limite in quanto il potere di mercato di queste aziende è praticamente nullo.
Il dato più preoccupante è legato alla presenza di queste aziende nel mondo digitale.

 

L’80% dei produttori italiani di eccellenze enogastronomiche e agroalimentari NON ha un e.commerce, il 71% non ha un profilo aziendale sui Social Network, il 59% non ha un sito internet.

 

I suddetti dati confermano due aspetti della stessa medaglia. La prima è la conferma che siamo un Paese Immaturo e arretrato nell’e.commerce e nel digitale in generale. La seconda faccia della medaglia è legata all’enorme possibilità per le aziende di allargare il proprio business sfruttando il digital marketing.

Il mercato del commercio elettronico alimentare italiano, comunque la si veda. è in netta crescita. E a testimoniare il trend sono i dati dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano: dai 0,59 miliardi del 2016, passando ai 0,83 miliardi del 2017 fino ad arrivare all’attuale 1,1. Un miglioramento del +34%rispetto all’anno precedente che attesta come il food eCommerce sia tra i comparti più emergenti tra quelli che popolano gli acquisti online.

Nel 2018 il mercato online Food&Grocery vale 1,1 miliardi di euro, circa il 4% dell’intera domanda eCommerce italiana. Un valore significativamente inferiore a quello di mercati internazionali più evoluti come Francia, Germania, Regno Unito e USA.

Stiamo assistendo a questa alternanza tra i picchi verso l’alto legati all’eccellenza nella produzione, alla crescita a due cifre del settore digital, ai miliardi di fatturato prodotti all’anno, e picchi verso il basso dati da un tessuto aziendale frammentato in migliaia di aziende medie, piccole e piccolissime, all’assenza di strategie di innovazione, all’estrema arretratezza nel digital marketing.

Siamo un Paese esposto ad una nuova e moderna invasione straniera.

In questo caso non parlo di immigrazione, ma di conquista del mercato economico.
Seguendo sempre il settore Food & Beverage, i “padroni” del cibo sono dieci multinazionali che posseggono il settanta percento del settore Alimentare del pianeta.
Il Grafico OXFAM mostra la mappa delle Multinazionali del settore Food & Beverage, una concentrazione che evidenzia come il Made in Italy del food sia assente in questa classifica.

 

tabella delle aziende principali del Food

 

La tendenza alla concentrazione dei marchi è in atto da tempo e riguarda praticamente tutti i settori alimentari. Ci sono eccezioni quasi inevitabili come il latte e il vino. Stiamo naturalmente parlando di grandi multinazionali. Ma se nel settore vinicolo il blocco alla creazione di grandi gruppi è dovuto a un legame strettissimo con il territorio (ogni collina è una diversa cantina sociale), nella birra non è più così da tempo: i tre principali marchi mondiali, i belgi in In Bev (Artois, Beck’s e la brasiliana Anctartica), i sudafricani di SAB Miller e gli olandesi di Heineken controllano da soli il 60 per cento del fatturato mondiale e raccolgono l’80 per cento degli utili. Analoga concentrazione sta per avvenire nel settore del caffè. “L’esempio della birra — spiega Antonio Baravalle, ad di Lavazza — dimostra che nei settori dell’alimentare la concentrazione delle proprietà fa aumentare i profitti“. Dunque c’è da immaginare che nei prossimi anni i dieci signori che governano le tavole del mondo si ridurranno ancora? “Penso che ci sia un limite. Fondersi ancora di più non sarà facile. Mi sembra più probabile che ciascuno di quei dieci gruppi assorba nel tempo altri gruppi minori”.
(fonte PAOLO GRISERI – Repubblica,it)

 

Dall’articolo di Paolo Griseri vediamo come la tendenza delle multinazionali a concentrare i marchi che producono cibo e bevande sia una strategia di successo per il fatturato e per il controllo della produzione.
Le dieci sorelle decidono, legittimamente in un mercato abbastanza libero, cosa il mondo deve mangiare e a che prezzo, e acquisiscono aziende d’eccellenza dei Paesi incapaci di fare squadra.
È evidente che in questo quadro siamo un Paese facilmente conquistabile dalle multinazionali del cibo.
In Italia l’unica Azienda capace di avvicinarsi alle 10 sorelle del Cibo è la è la Ferrero. Con circa 10 miliardi di dollari di fatturato, si colloca al 13° posto in classifica, poco sotto la Kellogg’s con i suoi 13 miliardi di dollari.
Le altre aziende multinazionali italiane sono molto distaccate dalla Ferrero e, di conseguenza nettamente lontane dai padroni del cibo mondiale. La Barilla fattura 3,5 miliardi di euro all’anno, grazie soprattutto alla produzione di pasta, con lo stesso fatturato c’è il gruppo Cremonini, mentre sotto il miliardo e mezzo troviamo Parmalat, Amadori, Lavazza, Conserve Italia. Immediatamente sotto il livello del miliardo ci sono Acqua San Benedetto, De Cecco, Galbani e Granarolo.

Siamo la nazione riconosciuta a livello mondiale per il caffè espresso e per la pasta.

 

Per la PASTA, però, le imprese italiane, fatta eccezione per Barilla, sono dei nani nello scenario mondiale.

 

Gli italiani consumano ben 26 kg a testa di pasta l’anno, gli americani, francesi e canadesi circa 8 kg pro-capite. Purtroppo, nonostante questa spinta del mercato interno italiano, la pasta Garofalo è passata sotto il controllo della spagnola Ebro Foods e l’argentina Molinos rileva la pasta Delverde.
Appare chiaro che solo Barilla abbia le capacità di rafforzare la sua leadership nazionale ed internazionale, puntando all’acquisizione di pastifici nazionali, prima che altre multinazionali lo facciano.

Stesso quadro preoccupante per il CAFFÈ. Lavazza, leader in Italia, rappresenta il 2% del mercato.

La svizzera Nestlé detiene il 22% del mercato internazionale del caffè (Nespresso, Nescafe, ecc). Subito dietro abbiamo l’americana Mondelez con l’11% (Hag, Splendid, Carte Noire, Jacobs). Seguono a distanza una miriade di altri produttori come Lavazza. Il gruppo torinese detiene il 2% del mercato

 

Alla conquista dei marchi

Fino al 2000 i produttori di birra erano in tanti e la concorrenza produceva margini bassi per tutti. In quegli anni i primi tre/quattro produttori al mondo controllavano il 24% del mercato. Dal 2013, grazie ad acquisizioni e fusioni, i primi 4 produttori hanno conquistato il 54% del mercato, con una crescita dei margini del 20% circa.
La correlazione diretta tra aumento di dimensione e incremento dei margini, porta e porterà le multinazionali di ogni settore, quindi non solo del food & beverage, a fare “spese” in Italia, leader nella produzione di qualità ma arretrato sul piano industriale e strategico, frammentato in migliaia di aziende a conduzione familiare.

La correlazione diretta tra aumento di dimensione e incremento dei margini, porta e porterà le multinazionali di ogni settore, quindi non solo del food & beverage, a fare “spese” in Italia, leader nella produzione di qualità ma arretrato sul piano industriale e strategico, frammentato in migliaia di aziende a conduzione familiare.

 

Processo del MArketplace di Amazion

 

Come si pone l’Italia nel Digital Marketing?

Il rapporto con il Digital Marketing delle aziende in Italia è esattamente in linea con ciò che sta accadendo da anni al tessuto produttivo: anche nell’innovazione del digitale siamo frammentati, arretrati e pronti ad essere conquistati dalle aziende estere.
Abbiamo già visto i dati relativi al rapporto per i produttori del food & beverage, il problema è che anche per gli altri produttori “no food” la situazione è la stessa.
Solo il 20% delle PMI italiane ha un proprio e.commerce, meno del 30% un profilo aziendale Social attivo e meno del 45% ha un sito internet aziendale.

Siamo una nazione Immatura e arretrata nel Digital e presto le Aziende estere conquisteranno il nostro mercato a discapito delle nostre eccellenze.

 

 

Mostreremo tre casi per confermare la suddetta affermazione: Amazon, TheFork e Ikea

Il primo caso è legato ad Amazon

Il colosso dell’e.commerce americano, pur realizzando numeri inferiori alla cinese Alibaba, ha un modello di business che gli permetterà di essere sempre più leader mondiale dell’e-commerce.

Alibaba si pone come un intermediario tra domanda e offerta in stile eBay. A differenza di Amazon, quindi, non controlla lo stoccaggio delle merci, l’approvvigionamento, la spedizione dei prodotti.
Questa attività produce grandi margini, ma lascia il controllo del processo di vendita e spedizione al venditore.
Amazon, invece, realizza circa il 50% degli incassi vendendo e realizzando direttamente la spedizione dei prodotti presenti nel suo sito. L’azienda, quindi, compra e rivende stock di merce, in una logica del retailer. Sul proprio sito dichiara:

 

“Decine di migliaia di PMI e liberi professionisti hanno sviluppato il proprio business vendendo su Amazon e utilizzando i servizi di AWS (Amazon Web Services) e KDP (Kindle Direct Publishing)

 

Secondo la ricerca indipendente realizzata da Keystone Strategy Research, le imprese italiane indipendenti impiegano più di 10.000 persone in Italia per gestire le attività di vendita su Amazon:

  • 3.000 posti di lavoro nel Nord-Ovest
  • Oltre 1.000 nel Nord-Est
  • Più di 2.000 nel Centro Italia
  • Circa di 3.000 al Sud
  • 900 in Sicilia e Sardegna
  • Le imprese italiane indipendenti che vendono su Amazon hanno raggiunto oltre 350 milioni di € di export nel 2017, con una crescita del 40% (YoY)
  • Più di un terzo delle PMI italiane esporta i propri prodotti in Europa e nel resto del mondo
  • Più di un terzo dello stock dei Centri di distribuzione italiani è dedicato a imprenditori terzi che vendono su Amazon
  • Oltre 700 piccoli e medi imprenditori e artigiani locali presenti sulla vetrina Made in Italy, che propone oltre 72.000 prodotti ed eccellenze regionali italiane
    Vetrine già disponibili sul Made in Italy di Amazon: Sicilia, Sardegna, Piemonte, Calabria, Campania, Firenze e Toscana, Bergamo, Vicenza

“Per aiutare le Pmi a esportare i loro prodotti, Amazon ha creato una serie di strumenti di supporto e di servizi come la spedizione e la distribuzione a livello globale e la gestione del ‘customer service’ nella lingua locale. Ogni anno Amazon traduce anche centinaia di milioni di schede prodotto, consentendo loro di vendere a livello internazionale con un minimo sforzo. Di conseguenza, nel 2017 le aziende italiane presenti su Amazon Marketplace hanno totalizzato vendite all’estero, in tutto il mondo, per oltre 350 milioni di euro attraverso gli undici siti web di Amazon, in sette lingue diverse, che consentono di raggiungere milioni di potenziali nuovi clienti.”

È chiaro che Amazon fa da aggregatore per le piccole e medie aziende italiane che vogliono vendere on line i propri prodotti, permettendo di vendere. In pratica per i merchant Amazon significa avere accesso ad un traffico impossibile da raggiungere attraverso il loro eCommerce.

 

Come vendere su Amazon

Se il vantaggio è di essere visibile su una piattaforma che attira milioni di persone al mese ad un costo di ingresso competitivo, lo svantaggio è legato al fatto che per vendere su Amazon si richiede un lavoro continuativo ed un investimento in termini di tempo e competenza.

Come accade per Google, in cui occorre essere capaci di indicizzare il proprio sito dal punto di vista SEO , anche il motore di ricerca interno di Amazon ha le sue regole, i suoi algoritmi e le sue preferenze. La ricerca per parole chiave è uno degli strumenti più utilizzati dagli utenti sulla piattaforma. In tal senso è obbligatorio investire, in modo continuativo, nell’ottimizzazione e nell’indicizzazione delle proprie schede prodotto.

Altro punto chiave per vendere su Amazon sono le Recensioni clienti

In Amazon oltre il 95% degli utenti legge almeno una recensione sul prodotto e sul venditore, e quasi il 70% di essi si fa influenzare dai commenti degli altri utenti.
Appare chiaro quanto sia importante, dopo aver venduto il proprio prodotto, ottenere una buona recensione.

 

Come si ottengono le recensioni su Amazon?

Innanzitutto, non bisogna prendere in considerazione la creazione di recensioni inventate, direttamente o acquistate, perché vanno contro il regolamento del marketplace. Chi vende su Amazon deve avere la pazienza di far crescere il proprio profilo nel tempo, con azioni continuative e mirate ad ottenere reali recensioni.
Uno degli strumenti più utilizzati è chiedere esplicitamente all’acquirente di lasciare una recensione. Molti venditori offrono rimborsi del 95% (ufficialmente non ammessi da Amazon), oppure omaggi o sconti. In linea di massima, è consigliabile partire con amici e parenti che acquistano il prodotto e forniscono i primi riscontri, ma l’utente medio di Amazon oltre al “voto” ottenuto guarda anche il numero di recensioni. Almeno che non si abbia una cerchia di amici e partenti grandissima e disposta ad acquistare, occorre coltivare i clienti con promozioni per vendere e per far recensire. Questo vuol dire tempo, oppure acquisire competenze e denaro.

 

Perché Amazon è un rischio per le aziende italiane?

In un contesto digitale non sviluppato, come quello italiano, il rischio è di restare eterni fanciulli e non riuscire a crescere in competenze digitali. In pratica riuscire a navigare da soli nel mare del Digital Marketing.
Inoltre, Amazon, come altri marketplace, ha sue regole e propri obiettivi economici che potrebbero un giorno spingerla a non dare più visibilità a piccoli negozi, oppure imporre regole e costi che ridurrebbero i margini. Amazon già vende per proprio conto prodotti e servizi, è quindi in concorrenza con i venditori che ospita, un giorno potrebbe decidere di occupare tutti gli spazi disponibili per i propri prodotti a discapito degli altri venditori.

Infine, che si utilizzi o meno la logistica diretta di Amazon, i clienti percepiscono che il prodotto acquistato sia di Amazon. Il produttore perde, così, contatto col cliente e limita notevolmente lo sviluppo del suo brand.

In conclusione, le attività svolte su Amazon dai venditori sono praticamente le stesse che dovrebbero fare per sviluppare un proprio e.commerce, certamente con costi di avvio minori. Sviluppare un proprio e commerce permetterebbe di gestire il ricavo e controllare l’intero processo di vendita.

Il capitale di un’azienda sono le competenze delle risorse e i clienti, perdere il contatto con essi lasciandoli di fatto al marketplace, nel breve periodo potrebbe portare a ricavi interessanti, ma nel tempo il rischio quasi certo è di trovarsi un socio occulto in casa che detta le condizioni per la nostra sopravvivenza.

Il secondo caso utile a far comprendere il pericolo di essere una nazione Vassallo delle multinazionali è TheFork.

 

TheFork l'app per prenotare ristoranti

 

Chi è TheFork

Dal profilo aziendale si definiscono come la piattaforma di prenotazione dei ristoranti leader in Europa. Creata in Francia nel 2007 da professionisti ed esperti del mondo dell’ Hospitality e della technologia, TheFork ha rivoluzionato il mercato dei ristoranti, mettendo in contatto ristoranti e utenti e seguendo i principi dello Yield Management. Grazie alla prenotazione online è possibile applicare alla ristorazione la tariffazione flessibile già diffusa nel mondo dei viaggi: i prezzi variano cioè in base alle disponibilità. Per gli utenti, TheFork è il modo smart di andare al ristorante: grazie al sito e all’app è possibile trovare facilmente il ristorante giusto, verificare le disponibilità in tempo reale e prenotare in pochi secondi con conferma immediata 24 ore/24. Gli utenti possono trovare il locale giusto per ogni occasione grazie alle recensioni e a filtri come la localizzazione, il tipo di cucina e di ristorante e il prezzo medio.

Per i ristoranti, TheFork offre un software, TheFork Manager, che ottimizza la gestione delle prenotazioni e aiuta ad acquisire e fidelizzare i clienti. […]. TheFork ha più di 40.000 ristoranti associati ed è presente in 12 Paesi […] , con circa 7 milioni di recensioni, 14 milioni di visite mensili in media al mese e oltre 7 milioni di download dell’app.
Questa multinazionale francese ha un business model molto interessante per i ristoratori. È possibile accedere senza costi iniziali, il theforkmanager, lo strumento fornito per gestire le prenotazioni, nel pacchetto base è gratuito, pagando solo le prenotazioni andate a buon fine (tra 1,5 e i 4 euro a coperto).
Interessanti sono i pacchetti plus per il software theforkmanager. Il PRO a 49 € al mese e il PRO+ a 89€ al mese, permettono di ottimizzare la gestione delle prenotazioni, ma soprattutto di avere strumenti di fidelizzazione dei clienti.

 

Pregi e difetti di TheFork

Pregi. Appare chiaro che il ristoratore ottiene nuovi clienti e una visibilità immediata su una piattaforma che in Italia dichiara di avere 8.000 ristoranti associati e un traffico internet elevato. Permette di non lasciare vuoti i coperti tra il lunedì e il giovedì, giorni critici per la stragrande maggioranza dei ristoranti.

Difetti. L’azienda francese, spin-off di Tripadvisor, fa leva in Italia sul limite della ristorazione italiana: l’incapacità di attrarre clienti con digital marketing.

La ristorazione italiana è la più grande d’Europa. 334.000 pubblici esercizi fatturano 76 miliardi di euro, con oltre 730.000 lavoratori. Nel nostro Paese (fonte) c’è un’attività di somministrazione ogni 180 persone, più della Francia (una attività ogni 300 persone) e a Germania (una ogni 450). Il novanta percento ha un proprio sito web e canale social, il 22% è attivo sulle piattaforme online di prenotazione e delivery come Foodora e TheFork appunto.

Nonostante questi dati positivi si evidenzia che il 70% dei siti web dei ristoratori sono abbandonati, ovvero non eseguono azioni per attrarre visitatori (contenuti blog, post social coerenti, eventi, form di prenotazioni, nuove funzionalità, ecc).
Stessa situazione per i profili social. Spesso sono utilizzati per mostrare i nuovi menu (Natale, pasqua, ecc) o come punto di snodo verso altri siti per prenotazioni.

In conclusione, pur permettendo ai ristoranti di incassare direttamente e avere un maggior numero di coperti occupati in settimana, oltre a mostrare chiaramente quali potrebbero essere i risultati di vendite con loro, grazie al calcolatore ROI, TheFork ha un ritorno economico elevato e costante a discapito del ristoratore, il quale per ottenere il maggior numero di prenotazioni deve applicare uno sconto tra il 20% e il 40% circa, e riconoscere 1,5-4€ a coperto. Il punto principale resta lo stesso:
Con una maggiore maturità digitale anche il ristoratore potrebbe ottenere lo stesso risultato senza dover riconoscere una parte del budget a piattaforme terze.

 

i negozi Ikea in Italia

Il Terzo caso è IKEA

 

IKEA diventa un Marketplace dell’arredo

Il mercato mondiale del mobile vale circa 395 miliardi di dollari. L’Italia si conferma al terzo posto con l’8% circa del mercato, mentre la Cina resta saldamente in prima posizione con il 36% delle quote. Lo scorso 14 febbraio 2019, sul Corriere della Sera leggiamo:

“Modello Zalando” per Ikea: in cantiere un marketplace globale.

L’azienda svedese sta studiando una piattaforma per vendere prodotti anche di altri marchi. Il ceo Torbjorn Loof: “Vogliamo agganciare tutte le possibilità legate all’e-commerce”

Una notizia che potrebbe essere vista come incredibile. La multinazionale svedese nel 2016 ha realizzato un fatturato di quasi 40 miliardi di dollari, con oltre 838 milioni di persone che hanno visitato i negozi in un anno. Numeri incredibili, ma insignificanti rispetto ai 2,4 miliardi di visite del sito!
Il web cresce in Ikea del 10%, e tutte le previsioni degli analisti della casa svedese indicano che il canale dell’e.commerce è destinato a crescere tantissimo.
Da qui la strategia dettata da Loof. Sfruttare il digital marketing per vendere on line e ampliare il fatturato ed il margine con un marketplace simile a Zalando (moda), ovvero focalizzato su una specifica produzione (mobili).
In questo caso è chiaro che se il marketplace di Ikea dovesse ottenere lo stesso trend di crescita di Zalando o di Amazon, in poco tempo anche questo settore sarà gestito da una multinazionale non italiana.

Sicuramente il mercato italiano mostrerà una crescita, e magari, pur essendo già sul podio, potrà scalare la classifica, ma avrà perso un’altra occasione per crescere nel Digitale e recuperare realmente il gap con gli altri Paesi.

 

Appare chiaro che il treno del Digital Marketing sta passando e per un po’ di tempo sarà fermo nella Stazione italiana, sta alle PMI acquistare il biglietto e viaggiare verso l’innovazione che porta fatturato.

 

Perché è importante il Digital Marketing?

Il Digital Marketing, come si evince dalla sua definizione, è l’evoluzione del marketing classico, ovvero una innovazione nelle e delle strategie di vendita verso livelli a più strati sovrapposti.
L’innovazione e l’evoluzione di questo processo non è semplicemente nell’uso del canale Web e dei canali Social, è nella sua capacità di fornire dati utili per creare modelli di previsione dell’andamento del mercato, permettendo di creare offerte precise per il target dei propri possibili clienti.

TAG Innovation School in una ricerca realizzata in collaborazione con Cisco Italia e Intesa Sanpaolo su un campione di 550 piccole e medie imprese è emerso che il Digital Marketing Specialist in Italia è la figura professionale di cui le aziende non potranno fare a meno nei prossimi 3 anni.

Il Digital Marketing non è un altro nome da dare al marketing, è un innovativo approccio nel Web che consente di analizzare, comprendere e prevedere il comportamento dei clienti.

Il Digital Marketing permette, come abbiamo visto nel caso di Ikea, di raggiungere molti più utenti rispetto a forme di comunicazione tradizionale offline e di stimolare il consumatore medio in modo da innescare dei meccanismi definiti “virali” (viral marketing e buzz marketing).

Il marketing ha come primo obiettivo quello di portare il maggior numero di persone a conoscere i propri prodotti o servizi, per venderli. Il digital marketing ha lo stesso obiettivo del marketing ma si pone in una prospettiva inversa grazie al Funnel Marketing ed altri pilastri

 

i pilastri del digital marketing

 

I pilastri del Digital Marketing

 

Il digital marketing è un tavolo con quattro gambe:

  • Funnel Marketing
  • Influencer Marketing
  • Community Social
  • MULTICANALITA’

Funnel Marketing

Il Funnel Marketing è un processo utile per far trovare la tua Azienda dalle persone (clienti) nel momento in cui hanno bisogno di te. Un processo che tende a veicolare l’audience di Internet verso un percorso predefinito e voluto da chi lo produce.

Il Funnel Marketing attiva, quindi, una strada che conduce all’incremento dei visitatori del tuo sito e li trasforma in clienti.

Tutto ciò, a differenza del marketing classico, abbatte tantissimo sia i costi che lo spreco di tempo.

Questa innovativa strada è utile quando:
– i tuoi prodotti o servizi vanno spiegati ovvero non sono immediatamente comprensibili
– per e.commerce
– se vuoi trovare nel Web nuovi clienti (lead generation)

 

Influencer Marketing

La concentrazione è posta sulle persone influenti più che sul mercato di riferimento nel suo complesso. è la capacità di “influenzare”, generando un passaparola strategico e significativo per la visibilità di un marchio: Vendita.

Community Social

La Community è uno strumento che – se usato efficacemente – permette di creare valore per il brand grazie al ricorso ad attività e strumenti di comunicazione volti a fidelizzare il cliente e ad aumentare la competitività
Questi gruppi, nati o per volere dell’azienda stessa o spontaneamente, si caratterizzano per:

  • unire persone con un interesse/passione comune;
  • favorire le relazioni virtuali tra utenti;
  • la partecipazione attiva di diversi membri

 

MULTICANALITA’

Per comunicazione multicanale si intende l’uso di diversi canali di comunicazione (tradizionali e digitali) per veicolare le informazioni e renderle fruibile all’utente.
La scelta di adottare strumenti e strategie multicanale è dovuta all’ingresso e diffusione dei New Media e delle nuove modalità di fruizione dei canali digitali.

VideoMarketing

Nell’era digitale, il Video Marketing è la nuova frontiera del Web advertising. I siti web con contenuti video trattengono l’attenzione del visitatore due minuti in più, in media, rispetto ai siti senza file video. (Fonte ComScore.com).

I contenuti video aumentano la possibilità di vendere un prodotto del 300%

 

Soluzioni per il Digital Marketing

 

Il Digital Marketing, come abbiamo visto, richiede una buona dose di conoscenza delle tecniche, budget, tempo. Abbiamo visto anche che in Italia siamo, dal punto di vista Digitale, definiti un Paese Immaturo, arretrato. I dati dimostrano che è effettivamente così.

Per la grande presenza di Piccole e medie imprese che producono qualità ma non sono capaci di aggregarsi per conquistare il mercato, per la scarsa copertura di reti internet veloci, per il numero esiguo di aziende che investe correttamente nel Web, siamo un Paese che è a rischio di conquista economica da parte delle aziende estere. In parte è un fenomeno già in atto e preoccupante per le eccellenze italiane.

Una soluzione è di investire tempo nella conoscenza, nella formazione di questo settore e di affidarsi ad esperti che propongano una reale e corretta soluzione.

Occorre cogliere l’opportunità di questo canale perché, a differenza del senso comune, è un investimento non un costo per le aziende.

 

Affermarsi, mostrarsi e vendere nel Web vuol dire allargare la base clienti, incrementare il fatturato e non risentire degli attacchi dei concorrenti italiani e, soprattutto, esteri.

 

Fight Eat Club con Corefood, Focus ha creato un percorso di formazione attiva per le PMI italiane della Filiera Agroalimentare, largo consumo, ma non solo. Tutte le aziende che vogliono vendere i loro prodotti e servizi nel web possono partecipare.

 

Strategia di Accelerazione del Business: Soluzioni per l’Uso

La digitalizzazione si sta diffondendo anche lungo la filiera produttiva agroalimentare, dalla raccolta alla lavorazione, fino alla distribuzione. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Agrofood del Politecnico di Milano, l’agricoltura 4.0 ha un mercato in Italia di 100 milioni di euro e la trasformazione digitale è in crescita lungo la filiera.
Il corso, fortemente interattivo e pratico, è diviso in due parti:

PRIMA PARTE
Corso di 4 ore improntato sulla Teoria e Tecnica di STRATEGIE di ACCELERAZIONE del BUSINESS

SECONDA PARTE
– Pranzo che permetterà ai partecipanti di conoscere le diverse realtà coinvolte nella formazione.
– Subito dopo pranzo vi sarà l’incontro con alcune figure importanti della comunicazione digitale: Blogger, Influencer e Digital Expert presenteranno le loro case history e le possibilità che la comunicazione digitale offre in questo settore.
– Tè, Coffe, light break e saluti

Sarà rilasciato un attestato di partecipazione.
Costo: 350 + iva / partecipante

Disponibili pacchetti ad hoc più di un partecipante per azienda:

Scrivi a project@borass.it

 

Relatore
L’incontro sarà tenuto dal Prof. Fabio Papa (PhD), docente di Economia presso l’Università degli Studi di Macerata e docente di Economia e Management del Made in Italy presso l’Università Statale di San Pietroburgo (Russia). Membro di numerosi programmi Master presso la Business School del Sole 24 Ore (Milano/Roma), è Direttore dell’Institute of Applied Economic Research (Varese), dove guida un team di ricercatori che ha all’attivo oltre 2.500 imprese studiate. Esperto di sviluppo aziendale, opera in qualità di family business strategist presso numerose realtà imprenditoriali – italiane ed estere.

 

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Autore: Antonio Prestieri